Lui l’ama, lei no.
Lui la pensa di continuo, lei no.
Lui la desidera, lei no.
Lui le scrive lettere, lei no…
Stanca di ricevere continuamente lettere d’amore, Teresa impone a Edoardo il divieto assoluto di scriverle. O almeno niente più lettere d’amore. Per di più raccomandate… Così, per non aggiungere mattoni a quel muro che già lo separa da lei, Edoardo accetta le imposizioni di Teresa e comincia a spedire lettere via posta ordinaria parlandole di tangenziali e lavandini, di sua sorella e di Napoleone, del vento e del pistacchio, di muscoli e di poesia, di Dio e delle cicale, di Elvis e supermercati insomma, Edoardo finisce col parlarle di tutto, davvero di tutto, fuorché di ciò che proprio non può dire, in altre parole, l’amore.
Con due lettere di Alessandro Bergonzoni e Grazia Verasani
Stanca di ricevere le solite lettere raccomandate, con la minaccia che alla successiva gli avrebbe incendiato la casa e anche la macchina, Teresa impone a Edoardo il divieto assoluto di scriverle. O perlomeno, niente più lettere d’amore. Lui allora si ingegna e comincia a spedirle missive parlandole d’altro. Il risultato è una comica corrispondenza d’amorosi sensi, che sfrutta ogni cosa (cabine telefoniche, film, come lavarsi le mani) che non sia il sentimento per arrivare a sottintenderlo. Nasce così L’amore non si dice, lo scanzonato romanzo d’esordio del bolognese Massimo Vitali edito da Fernandel (con una lettera di Alessandro Bergonzoni e una di Grazia Verasani) e che verrà presentato oggi pomeriggio alle 17.30 alla Feltrinelli di piazza Galvani; dialogherà con l’autore Gianluca Morozzi. «L’amore è un credo universale che ricade in ogni tema, ma parlarne sempre stanca tutti perché forse si dicono sempre le stesse cose – dice il 31enne scrittore – la scelta delle epistole è avvenuta perché mi piacciono le cose di un tempo, dalla musica ai libri, e mandare delle lettere è una cosa così vecchia che sembra una novità nel mare di sms ed e-mail di oggi».
Bello il titolo, programmatico e paradossale (ma non è forse vero – come ha scritto qualcuno – che “l’essenziale non si dice mai”? E cosa più dell’amore può rivelarsi essenziale?); e bella la copertina: uno spaurito tuffatore, in punta di trampolino, in procinto di tuffarsi tra le acque perigliose di timbri e francobolli, tra i marosi di una incerta corrispondenza – l’illustrazione, merita la menzione, è opera di Lilia Migliorisi. Una storia d’amore, nel genere del romanzo epistolare: lei è Teresa, lui Edoardo; ad amare è lui, lei non risponde, anche nel senso delle lettere, tutte di Edoardo, innamorato che nell’ostinazione affina la creatività.
Il loro primo (e penultimo) incontro, è stato in piscina, durante un corso per diventare bagnini: lui incapace di nuotare, quasi rischiava di affogare, salvato da Teresa – Sirenetta non meno di pietra di quella dello scoglio di Copenaghen, questa di pietra ha il cuore. Nel secondo e ultimo incontro, nel parcheggio della piscina, lei gli aveva intimato di non scriverle mai più lettere d’amore.
Fedele alla costrizione – cosa non si fa per amore? – scriverà lettere, in tutto saranno cento, nelle quali tratta degli argomenti più disparati non meno che disperati, tranne che d’amore: dai vantaggi del fiore secco agli odori delle case degli altri, eccetera eccetera. Variazioni sul tema come esercizi di stile, talvolta riuscitissimi. Perché il solo modo per parlare d’amore – come qualcuno ha detto – è parlare di tutt’altro. In capo e in coda ai cento modi per parlare d’amore, sempre avendo cura di non dirlo, due lettere compaiono, rispettivamente, di Alessandro Bergonzoni e di Grazia Verasani, a incorniciare il libro.
Un amore, quello di Edoardo per la sua Teresa, che non conosce abbattimenti, che si autoalimenta (giocoforza, del resto, con la condizione capestro dell’amata – ma si sa che le difficoltà aguzzano l’ingegno, e il vincolo della rima, per il poeta, anziché imbrigliare ha liberato l’espressione del sentimento amoroso). Il risentimento, non più compresso e tenuto a freno, trova sfogo solo in coda, contro il 14 febbraio, festa degli innamorati.
Come Shahrazàd, con le lettere Edoardo ha salvato se stesso, per ritrovarsi, infine, per quello che è e non sapeva di essere, e così riscattarsi. Amare è servito a rivelarlo a se stesso; poco conta, in fondo, non sia stato corrisposto. Una suggestione, in coda, o forse un’illazione del recensore. I ringraziamenti finali dell’autore – “Grazie a diverse persone, in particolare a chi mi ha proibito di ringraziarla” -: saranno forse rivolti a quella stessa Teresa che si è negata e fino all’ultimo ha posto condizioni? Nel caso, sarebbero da leggersi come un ponte, dalle estreme soglie del testo, gettato verso l’amore che si è negato. Ma non è forse degli amanti non corrisposti il destino – privilegio e condanna – di amare per sempre?
Finalmente un giovane autore che non ci propina un romanzo di formazione, né amori rosso sangue o indelebili traumi infantili. Un esordio anomalo quello di Massimo Vitali, ben distante da un certo giovanilismo, tematico e stilistico, che infesta parte della produzione editoriale italiana. Nasce, L’amore non si dice, da una vena di leggerezza intelligente, frizzantina. Stanca di ricevere lettere (per giunta raccomandate) da Edoardo, Teresa gli vieta nella maniera più assoluta di scriverle o per lo meno di scriverle d’amore. Lo spasimante respinto, cui non fa difetto la fantasia, rielabora l’ingiunzione a modo suo: comincia così a inviare all’amata fanciulla “dai bei capelli ricci e gli occhi neri di fornello” lettere in cui disquisisce “di tangenziali e lavandini, di sua sorella e Napoleone, del vento e del pistacchio, di Picasso e caminetti, di Dio e le cicale”. Insomma, sembra voler dire Edoardo, l’amore non ha bisogno di vetrine, anzi, forse si rivela con più forza quando occhieggia allusivo dietro (e dentro) le cose del mondo. L’amore “non si dice”, eppure è proprio attraverso la parola, in quanto strumento duttile dalle molteplici valenze, che il sentimento riesce a lasciare la traccia necessaria perché lo si possa incontrare. Come reagirà Teresa a questa corrispondenza a senso unico, lieve, a volte surreale, lucidamente squinternata, sulla quale aleggiano lo spirito di leggerezza di Calvino e il soffio fiabesco di Gianni Rodari? Sta al lettore scoprirlo, lungo un percorso formato da cento lettere che procedono al ritmo di una ballata del quotidiano, dove i coraggiosi sono “quelli che resistono e impugnano la vita senza guantoni, nonostante talvolta punga, scotti e abbia un debole per i cretini”. Edoardo è il poeta della routine, quello che scrive di notte dopo aver fatto la lavatrice e smistato la raccolta differenziata, ed è poeta proprio nel momento in cui è capace di posare sulla realtà uno sguardo non convenzionale che la arricchisce di nuove angolature prospettiche. Non stupisce, allora, che il lettore venga investito da una pioggia di titoli all’apparenza strampalati: Lettera sulle cabine del telefono come pretesto sulla gelosia, Lettera su una siepe di baci affettuosi, Lettera sulla vita interpretata dai sassi, Lettera sull’odore delle case degli altri, Lettera sui miracoli sbagliati, Lettera sulla ginnastica del vento e così via. Il tutto avvolto nella freschezza di un linguaggio consapevolmente candido e tuttavia non ingenuo, un buon esempio di come si possano adottare nella lingua scritta, con esiti più che gradevoli, tono e sintassi tipici di quella parlata. Con una lettera introduttiva di Alessandro Bergonzoni e una postfazione di Grazia Verasani.
Domande alternate a letture: così si è svolta martedì scorso, alla libreria dell’Arco, la presentazione di “L’amore non si dice” (ed. Fernandel, già alla prima ristampa perché esaurito) dell’esordiente bolognese Massimo Vitali, insieme allo scrittore Gianluca Morozzi. Quest’ultimo ha introdotto il volume con citazioni letterarie di amore non corrisposto, di cui è l’apoteosi il protagonista Edoardo, costretto dalla ragazza a inviarle lettere che parlano di tutto fuorché d’amore – e alla fine sembra quasi che ci prenda gusto. Il gusto per il lettore diventa invece quello della trama divagante, con spunti surreali come la preghiera dei lavandini piuttosto che i guanti di pelle o la sofferenza di Elvis quando sudava. Morozzi ha sottolineato la capacità di Vitali di far ridere e commuovere allo stesso tempo. Alla domanda su come ha fatto a pubblicare, Vitali ha raccontato la sua storia: «Per qualche anno ho mandato a case editrici dei racconti che avevano come filo conduttore delle mozzarelle; non mi rispondeva mai nessuno. Ho smesso. Un giorno ho sentito del concorso letterario nazionale “Subway” e ho partecipato inviando un racconto delle mozzarelle, però togliendo le mozzarelle: e ho vinto. Ho capito che una delle regole per farsi pubblicare è mai parlare di mozzarelle». Vitali ha indicato come modello «Achille Campanile, che purtroppo oggi non si legge più», mentre ha fatto dei distinguo nel paragone con un altro giovane scrittore di Parma (che compare in una lettera) Paolo Nori: «Ci possono essere dei punti in comune sul parlato e sulla semplicità, ma io credo alla lontana». Su www.massimovitali.org saranno aggiornate le date delle presentazioni in tutta Italia.
Cosa sarebbe la letteratura senza gli amori infelici, impossibili, non corrisposti? Il mal d’amore ha da sempre riempito pagine immortali: ma è possibile scrivere d’amore senza parlarne, citarlo, dichiararlo?
Da questo interrogativo ha preso spunto Massimo Vitali, poco più che trentenne bolognese, con il suo primo romanzo intitolato proprio “L’amore non si dice” (Fernandel, pp. 176, 13 euro) in cui immagina una corrispondenza a senso unico tra l’innamoratissimo Edoardo e la disinteressata Teresa. In cento lettere non d’amore, parlando di tutto ciò di cui è fatta la vita, dalle piccole cose ai grandi avvenimenti, passando per letteratura, musica e cinema, Edoardo dimostra che “l’amore è nell’aria” e forse essere innamorati rende migliori, anche se non sempre felici. Sicuramente più creativi. Abbiamo parlato del libro con l’autore.
In esergo al suo libro cita un brano da Zoo o lettere non d’amore di Viktor Sklovskij, in cui la protagonista rimprovera al giovane innamorato che il suo amore “è grande ma non gioioso” e quindi gli vieta di scriverle d’amore. È un omaggio, un’ispirazione, un punto di partenza?
«Libri come quello di Sklovskij sono un’inspirazione che segue un’espirazione, un ciclo di respirazione completo necessario quando succede di incontrare libri così, che alla sola di idea di partenza ti fanno perdere fiato: parlare d’amore senza nominarlo mai. Vuole mettere una qualunque dichiarazione d’amore rispetto a una che ti parla di mensole da bagno, guanti di pelle, sudore di Elvis, muscoli, cicale pistacchi e lavandini?»
C’è qualcosa di peggio di un amore non corrisposto?
«Un amore non corrisposto non è necessariamente una tragedia. Ci sono persone che ci rimangono secche e altre come Edoardo – il protagonista del romanzo – che se corrisposte, non so quanto sarebbero felici. Quella che ad alcuni può sembrare una tragedia, per altri è vita: l’autore ad esempio non avrebbe scritto nessun libro; il lettore avrebbe letto un altro romanzo; questa intervista non sarebbe esistita. C’è poco da fare, l’amore non corrisposto è un ciclo di vita necessario a tutti».
Il libro è scritto con uno stile così surreale e lieve, che sembra un moderno parente del surrealismo da Queneau al Vian de La schiuma dei giorni: si ritrova in questa percezione? C’è una precisa scelta stilistica dietro o ha più a che vedere con il suo modo di essere?
«È un modo carino per chiedermi “ci sei o ci fai”? A parte quelle grammaticali penso non ci siano regole nella scrittura, ma se devo sceglierne una scelgo “scrivi ciò che sai”. Ho scritto quello che sapevo, nel modo in cui sono. Quindi per tornare alla sua domanda, quella reale, direi che ci sono. Per esserci come ci sono io, scrivo da tanti anni e leggo da più del doppio. Non ho scelto volontariamente nessuno stile se non quello della pratica della lettura, della scrittura, e della vita che il tempo ci fa passare sopra».
Chi è il suo lettore ideale? E per conquistare quello non ideale, cosa lei direbbe circa il suo romanzo?
«Se posso essere sincero penso che il mio lettore ideale coincida con quello non ideale, e sia quello che legge il “Corriere Nazionale”».
100 lettere d’amore semiserie inviate a una ragazza (quasi) sconosciuta, a un ideale, un’immagine, il tutto dovendo evitare di parlar d’amore.
L’esordio narrativo di Massimo Vitali è senza dubbio originale; giocato sul filo dell’autoironia e del disincanto, si presta a un’altrettanto disincantata e leggera lettura.
Il protagonista del singolare epistolario, Edoardo, parla a se stesso più che alla donna che ha conosciuto durante un corso in piscina al quale si è iscritto senza saper nuotare: è proprio in quest’occasione infatti che si materializza in lui la passione per la donna che gli ha salvato la vita (Edoardo rischia di annegare alla prima lezione e viene ripescato proprio da Teresa). Da quel momento comincia a scriverle, sperando in un incontro, lettere a mezzo raccomandata, finché lei, stanca della corrispondenza, gli intima di desistere, o se proprio questo non è possibile, di continuare a scriverle, ma via posta ordinaria e senza mai parlar d’amore.
Edoardo narra d’ogni piccola cosa, la più futile delle riflessioni è motivo valido per discutere tesi senz’assunto, dissertare attorno a curiose notizie d’attualità, porre interrogativi pretestuosi ma è il tutto volto a ricondurre l’attenzione di Teresa a quell’inevitabile richiesta d’attenzione, alla (volutamente) malcelata voglia di comprensione.
La scrittura di Vitali è veloce e semplice, carica di un nonsense divertito e a tratti pungente. La chiave di lettura, anche se in questa occasione sia forzato racchiudere l’analisi della raccolta epistolare entro confini troppo definiti, sta tutta nell’ultimo, disperato e speranzoso tentativo d’avvicinamento e nella disillusione, o presa di coscienza, a voi la scelta, che ne deriva: non si dovrebbe mai parlar d’amore, che l’amore non è cosa di cui si possa disquisire.
Romagnolo d’origine, come il suo collega Gianluca Morozzi (edito sempre da Fernandel), Massimo Vitali con il suo L’amore non si dice ci propone un romanzo leggero, d’evasione, che racchiude, però, passaggi d’intensità diversa, momenti che lasciano trasparire una materia di diversa natura, forse più autentica, sui quali ci piacerebbe l’autore si soffermasse con maggiore fermezza.