L'amore non si dice

Lui l’ama, lei no.
Lui la pensa di continuo, lei no.
Lui la desidera, lei no.
Lui le scrive lettere, lei no…

Stanca di ricevere continuamente lettere d’amore, Teresa impone a Edoardo il divieto assoluto di scriverle. O almeno niente più lettere d’amore. Per di più raccomandate… Così, per non aggiungere mattoni a quel muro che già lo separa da lei, Edoardo accetta le imposizioni di Teresa e comincia a spedire lettere via posta ordinaria parlandole di tangenziali e lavandini, di sua sorella e di Napoleone, del vento e del pistacchio, di muscoli e di poesia, di Dio e delle cicale, di Elvis e supermercati insomma, Edoardo finisce col parlarle di tutto, davvero di tutto, fuorché di ciò che proprio non può dire, in altre parole, l’amore.

Con due lettere di Alessandro Bergonzoni Grazia Verasani

Rassegna Stampa

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«Vitali può essere considerato fin d’ora una delle voci più interessanti della nostra giovane narrativa» Giancarlo Susanna «Rockerilla» maggio 2010

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Potrà apparire un luogo comune, ma capita molto spesso – quasi sempre? – che in amore sia una delle due persone coinvolte a dare di più. Nel caso di Edoardo e Teresa è sicuramente così. Anzi. Edoardo è innamorato, Teresa no. Pur di restare in contatto con lei, Edoardo accetta una condizione quasi insostenibile: scriverle senza parlarle d’amore. “L’amore non si dice” è la storia di un sentimento impossibile: Edoardo cerca di porsi dei limiti, ma le sue lettere alla fine sono messaggi d’amore. Teneri, buffi, disperati. Massimo Vitali ha scritto un epistolario a senso unico, una vera e propria collezione di S.O.S. appena sfumati dall’ironia. Ci si possono riconoscere in tanti e questa è una delle chiavi della sua riuscita. Nato a Bologna nel 1978 e qui al suo esordio, Vitali può essere considerato fin d’ora una delle voci più interessanti della nostra giovane narrativa.

«Cento lettere che parlano di qualsiasi cosa ma ne dicono una sola»
Alberto Sebastiani «La Repubblica di Bologna» 13 aprile 2010 

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Più o meno tutti hanno scritto lettere d’amore. In giovanissima età, diranno i più. Perché un po’ ci si vergogna. Per pudore. Nella migliore delle situazioni, il destinatario le conserva come un ricordo caro, l’autore non ha voglia di condividerle con altri che l’amata o l’amato. È il luogo scritto dell’intimità. E da sempre è terreno fertile per la letteratura. Ci sono i classici, dal Werther di Goethe, all’Ortis del Foscolo. Senza contare i romanzi in cui appaiono lettere d’amore. Insomma, esiste una solida tradizione. E a suo modo ci si inserisce anche Massimo Vitali. Bolognese, del 1978, esordisce infatti con un romanzo epistolare d’amore,L’amore non si dice. L’editore è Fernandel, già di nomi di primo piano dell’area emiliana: Gianluca Morozzi, Grazia Verasani, Paolo Nori. Tre nomi non fatti a caso. Se, infatti, la Verasani ha scoperto Vitali e l’ha portato alla Fernandel, pubblicando anche una lettera-postfazione nel libro, gli altri due non sono per niente estranei a questo testo. Anzi. L’idea di partenza è molto suggestiva. Un ragazzo, Edoardo, si iscrive a un corso da bagnini senza saper nuotare per stare vicino a una ragazza, Teresa (nome di foscoliana memoria?). Si tuffa in acqua, quasi affoga, lei lo salva. Lui le manda raccomandate per dirle il suo amore, lei glielo vieta. Così le manda lettere semplici, e finge di parlare d’altro. Cento lettere che non parlano d’amore ma parlano d’amore, che pongono domande ma non hanno mai risposte, che parlano di qualsiasi cosa ma ne dicono una sola. Nessun piagnisteo, nessuna enfasi romantica, ma tanta (auto) ironia e dedizione. Sembra l’idea morozziana dell’amore. E il tutto in stile noriano. Di Nori (in una letteraè anche citato senza essere nominato: Edoardo va a una sua presentazione), infatti, non riprende la scrittura dell’oralità in maniera così netta, ma lo sguardo, l’ironia, e gli scarti stranianti. Sì, perché Edoardo scrive a Teresa di cucina, di sua nonna, di moda, della sua insonnia, ma alla fine, per giochi di parole, o rovesciando il discorso, riconduce tutto a una domanda (“questo semplice espediente è dovuto al fatto che a una domanda dovrebbe seguire quasi sempre una risposta”), attraverso la quale sapere qualcosa dell’amata, che in realtà non conosce. In fondo, come Napoleone con sua moglie, si sente “come l’alpino davanti al mare: inutile”. Il che fa male, anche se c’è il sorriso, anche se Edoardo inventa giustificazioni del silenzio. E alla fine saluta con l’ennesima battuta, il 14 febbraio, ma il lettore sa che è vero quello che Edoardo ha detto alcune lettere prima: “nascondo dietro questa specie di ironia qualcosa che ormai faccio fatica a nascondere: l’assoluta mancanza di te”.

«Bentornato romanzo epistolare. E benvenuto a Massimo Vitali» 
Enrico Veronese, «Blow Up» aprile 2010 

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Bentornato romanzo epistolare. E benvenuto a Massimo Vitali, esordiente per Fernandel con la statica vicissitudine di un amante allampanato, habitué delle poste e telegrafi, inchiodato dal soggetto del suo desiderio sui binari del non-amore. Almeno, di quello non dichiarato con nome e cognome ad ogni raccomandata, indirizzi sul comò di un posto d’oltremare. L’Edoardo dell’autore bolognese (clas­se 1978) ha di quei commessi viaggiatori un po’ tocchi, che si incontrano in treno vestiti di tutto punto, salvo un dettaglio voluto che è il primo a catturare l’attenzione tra altri mille: inziga con fare sempre garbato l’amata a seguirlo, retorico conoscendo la risposta -di silenzio? Non è dato conoscerlo esplicitamente, anche se trapela dal vortice di citazioni- al vano e subdolo stuzzicare in solilo­quio. Che di sciabolati capaci di scrivere a oltranza a donne che non li hanno amati mai ne esistono, e forse gli stessi che perdono facilmente la testa su internet: sono lettere-teoremi, a tesi, dalla quotidianità più balzana – la morte di Michael Jackson e gli scaricatori abusivi dei carto­ni da pizza – ma anche tabù affrontati con delicatezza e fantasia rodariane, la metapoesia di Guccini a braccetto con assort(it)a nonchalance di un Guido Catalano o Dente – che spunta serafico a pagina 30, così come Rodari compare assai più tardi – per buttarla in musica. Pre­fato da Bergonzoni in stile, e seguito nei medesimi toni da un foglio morale firmato da Grazia Verasani, Vitali tra il dire e il fare ci mette il nuoto e il mare, carneo cinematografici popolano la trama mobile (cfr. il barbiere) fra una pretestuosa autoironia e il Calvino di Luna e Gnac.Un po’ calvinista L’amore non si dice è, quando il suo interprete naif ripete nei mesi gli effetti reto­rici della posta che fu, ad esempio negli alterni riferimenti al tradizionalismo di chi si nega tecnologie aggiornate e per l’appunto manda lettere con bolli e tutto. Per non dire di Salinger, che gli si farebbe un buffetto ora che non c’è più (ma non c’era più manco prima). Come l’essenziale è invisibile agli occhi, così l’amore non si dice: eppure ogni invio conclude stoicamente in domanda, punti fermi che invitano a tenere il romanzo sul comodino e leggerne una misurata porzione a sera, illudendosi di essere la destinataria di un bene sì costante o nel timore, una volta per tutte, di scoprirsi Edoardo con estenuante, amaro sorriso.

«Una comica corrispondenza d’amorosi sensi»
Andrea Rinaldi «Corriere della Sera di Bologna» 7 aprile 2010

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L’amore muto

Stanca di ricevere le solite lettere raccomandate, con la minaccia che alla successiva gli avrebbe incendiato la casa e anche la macchina, Teresa impone a Edoardo il divieto assoluto di scriverle. O perlomeno, niente più lettere d’amore. Lui allora si ingegna e comincia a spedirle missive parlandole d’altro. Il risultato è una comica corrispondenza d’amorosi sensi, che sfrutta ogni cosa (cabine telefoniche, film, come lavarsi le mani) che non sia il sentimento per arrivare a sottintenderlo. Nasce così L’amore non si dice, lo scanzonato romanzo d’esordio del bolognese Massimo Vitali edito da Fernandel (con una lettera di Alessandro Bergonzoni e una di Grazia Verasani) e che verrà presentato oggi pomeriggio alle 17.30 alla Feltrinelli di piazza Galvani; dialogherà con l’autore Gianluca Morozzi. «L’amore è un credo universa­le che ricade in ogni tema, ma parlarne sempre stanca tutti perché forse si dicono sempre le stesse cose – dice il 31enne scrittore – la scelta delle epistole è avvenuta perché mi piacciono le cose di un tempo, dalla musica ai libri, e mandare delle lettere è una cosa così vecchia che sembra una novità nel mare di sms ed e-mail di oggi».

«Come dite? Marcovaldo di Calvino? Fuocherello»
Sergio Rotino «L’informazione | Il domani» 7 aprile 2010

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Lettere d’amore nell’era delle mail
 
Che mezzo antiquato, obsoleto, desueto è lo scri­vere lettere ai tempi delle mail. Eppure che mezzo bellissimo è lo scrivere lettere, specie se sono d’amore. O di non-amo­re, come accade ne L’amore non si dice (Fernandel, pp. 172, euro 13), esordio del bo­lognese Massimo Vitali già co­nosciuto per Compensazio­ne, racconto vincitore del pre­mio Hera-Subway 2009. Il ro­manzo parte dall’imposizione fatta da Teresa al suo spasimante, Edoardo: non spedire più via raccomandata le sue male­dette lettere d’amore. Le scri­va parlando di tutto ma non di quello, e spedisca solo per po­sta ordinaria. Edoardo, pur di non perdere l’amato bene, ac­cetta. Il risultato sono 100 let­tere in cui si parla d’altro, dai discorsi fatti col barbiere al so­gno di un uomo ricoperto di piume ecc. Si parla d’altro, ma sempre lì si punta, a quelle due paroline che Teresa non vuol sentire. Lo si fa fino alla 101 esima lettera, un’Appendice, una sorta di redde rationem, meglio ancora un giusto ribal­tamento di prospettiva. Vitali con L’amore non si dice, che presenterà oggi alle 17.30 presso Feltrinelli di piazza Gal­vani 1/h con Gianluca Moroz­zi, regala al lettore un romanzo dove l’ironia e l’assurdo di Achille Campanile incontrano gli Esercizi di stile di Queneau. Ma soprattutto dà corpo a un personaggio che, come scrive Grazia Verasani nella lettera in epilogo (il prologo spetta ad Alessandro Bergonzoni), ha «la dolcezza, e l’ingenuità, di chi non teme le ferite dell’orgo­glio». Come dite? Marcovaldo di Calvino? Fuocherello.

 «Variazioni sul tema come esercizi di stile, talvolta riuscitissimi»
Marcello D’alessandra «Stilos» luglio 2010

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Bello il titolo, programmatico e paradossale (ma non è forse vero – come ha scritto qual­cuno – che “l’essenziale non si dice mai”? E cosa più dell’amore può rivelarsi essen­ziale?); e bella la copertina: uno spaurito tuffatore, in punta di trampolino, in procinto di tuffarsi tra le acque perigliose di timbri e francobolli, tra i marosi di una incerta cor­rispondenza – l’illustrazione, merita la menzione, è opera di Lilia Migliorisi. Una storia d’amore, nel genere del romanzo epistolare: lei è Teresa, lui Edoardo; ad amare è lui, lei non risponde, anche nel senso delle lettere, tutte di Edoardo, innamorato che nel­l’ostinazione affina la creatività.
Il loro primo (e penultimo) incontro, è stato in piscina, durante un corso per diventare bagnini: lui incapace di nuotare, quasi rischiava di affogare, salvato da Teresa – Si­renetta non meno di pietra di quella dello scoglio di Copenaghen, questa di pietra ha il cuore. Nel secondo e ultimo incontro, nel parcheggio della piscina, lei gli aveva intimato di non scriverle mai più lettere d’amore.
Fedele alla costrizione – cosa non si fa per amore? – scriverà lettere, in tutto saranno cento, nelle quali tratta degli argomenti più disparati non meno che disperati, tranne che d’amore: dai vantaggi del fiore secco agli odori delle case degli altri, eccetera eccetera. Variazioni sul tema come esercizi di stile, talvolta riuscitissimi. Perché il solo modo per parlare d’amore – come qualcuno ha detto – è parlare di tutt’altro. In capo e in coda ai cento modi per parlare d’amore, sempre avendo cura di non dirlo, due lettere compaiono, rispettivamente, di Alessandro Bergonzoni e di Grazia Verasani, a incorniciare il libro.
Un amore, quello di Edoardo per la sua Teresa, che non conosce abbattimenti, che si autoalimenta (giocoforza, del resto, con la condizione capestro dell’amata – ma si sa che le difficoltà aguzzano l’ingegno, e il vincolo della rima, per il poeta, anziché imbrigliare ha liberato l’espressione del sentimento amoroso). Il risen­timento, non più compresso e tenuto a freno, trova sfogo solo in coda, contro il 14 febbraio, festa degli innamorati.
Come Shahrazàd, con le lettere Edoardo ha salvato se stesso, per ritrovarsi, in­fine, per quello che è e non sapeva di essere, e così riscattarsi. Amare è servito a rivelarlo a se stesso; poco conta, in fondo, non sia stato corrisposto. Una suggestione, in coda, o forse un’illazione del recensore. I ringraziamenti finali dell’autore – “Grazie a diverse persone, in particolare a chi mi ha proibito di rin­graziarla” -: saranno forse rivolti a quella stessa Teresa che si è negata e fino all’ultimo ha posto condizioni? Nel caso, sarebbero da leggersi come un ponte, dalle estreme so­glie del testo, gettato verso l’amore che si è negato. Ma non è forse degli amanti non corrisposti il destino – privilegio e condanna – di amare per sempre?

«Finalmente un giovane autore che non ci propina un romanzo di formazione, né amori rosso sangue o indelebili traumi infantili. Nasce, L’amore non si dice, da una vena di leggerezza intelligente, frizzantina»
Elena Maffioletti «L’Eco di Bergamo» 21 giugno 2010

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Finalmente un giovane autore che non ci propina un romanzo di formazione, né amori rosso sangue o indelebili traumi infantili. Un esordio anomalo quello di Massimo Vitali, ben distante da un certo giovanilismo, tematico e stilistico, che infesta parte della produzione editoriale italiana. Nasce, L’amore non si dice, da una vena di leggerezza intelligente, frizzantina. Stanca di ricevere lettere (per giunta raccomandate) da Edoardo, Teresa gli vieta nella maniera più assoluta di scriverle o per lo meno di scriverle d’amore. Lo spasimante respinto, cui non fa difetto la fantasia, rielabora l’ingiunzione a modo suo: comincia così a inviare all’amata fanciulla “dai bei capelli ricci e gli occhi neri di fornello” lettere in cui disquisisce “di tangenziali e lavandini, di sua sorella e Napoleone, del vento e del pistacchio, di Picasso e caminetti, di Dio e le cicale”. Insomma, sembra voler dire Edoardo, l’amore non ha bisogno di vetrine, anzi, forse si rivela con più forza quando occhieggia allusivo dietro (e dentro) le cose del mondo. L’amore “non si dice”, eppure è proprio attraverso la parola, in quanto strumento duttile dalle molteplici valenze, che il sentimento riesce a lasciare la traccia necessaria perché lo si possa incontrare. Come reagirà Teresa a questa corrispondenza a senso unico, lieve, a volte surreale, lucidamente squinternata, sulla quale aleggiano lo spirito di leggerezza di Calvino e il soffio fiabesco di Gianni Rodari? Sta al lettore scoprirlo, lungo un percorso formato da cento lettere che procedono al ritmo di una ballata del quotidiano, dove i coraggiosi sono “quelli che resistono e impugnano la vita senza guantoni, nonostante talvolta punga, scotti e abbia un debole per i cretini”. Edoardo è il poeta della routine, quello che scrive di notte dopo aver fatto la lavatrice e smistato la raccolta differenziata, ed è poeta proprio nel momento in cui è capace di posare sulla realtà uno sguardo non convenzionale che la arricchisce di nuove angolature prospettiche. Non stupisce, allora, che il lettore venga investito da una pioggia di titoli all’apparenza strampalati: Lettera sulle cabine del telefono come pretesto sulla gelosia, Lettera su una siepe di baci affettuosi, Lettera sulla vita interpretata dai sassi, Lettera sull’odore delle case degli altri, Lettera sui miracoli sbagliati, Lettera sulla ginnastica del vento e così via. Il tutto avvolto nella freschezza di un linguaggio consapevolmente candido e tuttavia non ingenuo, un buon esempio di come si possano adottare nella lingua scritta, con esiti più che gradevoli, tono e sintassi tipici di quella parlata. Con una lettera introduttiva di Alessandro Bergonzoni e una postfazione di Grazia Verasani.

«[…] e alla fine sembra quasi che ci prenda gusto»
«Il Giornale di Reggio Emilia» 16 aprile 2010 

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Domande alternate a lettu­re: così si è svolta martedì scorso, alla libreria dell’Arco, la presentazione di “L’amore non si dice” (ed. Fernandel, già alla prima ristampa perché esaurito) dell’esordiente bolo­gnese Massimo Vitali, insieme allo scrittore Gianluca Morozzi. Quest’ultimo ha introdotto il volume con citazioni letterarie di amore non corrisposto, di cui è l’apoteosi il protagonista Edoardo, costretto dalla ragaz­za a inviarle lettere che parlano di tutto fuorché d’amore – e alla fine sembra quasi che ci prenda gusto. Il gusto per il lettore diventa invece quello della trama divagante, con spunti surreali come la pre­ghiera dei lavandini piuttosto che i guanti di pelle o la soffe­renza di Elvis quando sudava. Morozzi ha sottolineato la capacità di Vitali di far ridere e commuovere allo stesso tempo. Alla domanda su come ha fatto a pubblicare, Vitali ha raccontato la sua storia: «Per qualche anno ho mandato a case editrici dei racconti che avevano come filo conduttore delle mozzarelle; non mi rispondeva mai nessuno. Ho smesso. Un giorno ho sentito del concorso letterario nazio­nale “Subway” e ho partecipa­to inviando un racconto delle mozzarelle, però togliendo le mozzarelle: e ho vinto. Ho capito che una delle regole per farsi pubblicare è mai parlare di mozzarelle». Vitali ha indicato come modello «Achille Campanile, che purtroppo oggi non si legge più», mentre ha fatto dei distinguo nel paragone con un altro giovane scrittore di Parma (che compare in una lettera) Paolo Nori: «Ci possono esse­re dei punti in comune sul par­lato e sulla semplicità, ma io credo alla lontana». Su www.massimovitali.org saranno aggiornate le date delle presentazioni in tutta Ita­lia.

«C’è poco da fare, l’amore non corrisposto è un ciclo di vita necessario a tutti»
Intervista di Seia Montanelli per il «Corriere Nazionale» 1 agosto 2010

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Cosa sarebbe la letteratura senza gli amori infelici, impossibili, non corrisposti? Il mal d’amore ha da sempre riempito pagine immortali: ma è possibile scrivere d’amore senza parlarne, citarlo, dichiararlo?
Da questo interrogativo ha preso spunto Massimo Vitali, poco più che trentenne bolognese, con il suo primo romanzo intitolato proprio “L’amore non si dice” (Fernandel, pp. 176, 13 euro) in cui immagina una corrispondenza a senso unico tra l’innamoratissimo Edoardo e la disinteressata Teresa. In cento lettere non d’amore, parlando di tutto ciò di cui è fatta la vita, dalle piccole cose ai grandi avvenimenti, passando per letteratura, musica e cinema, Edoardo dimostra che “l’amore è nell’aria” e forse essere innamorati rende migliori, anche se non sempre felici. Sicuramente più creativi. Abbiamo parlato del libro con l’autore.
In esergo al suo libro cita un brano da Zoo o lettere non d’amore di Viktor Sklovskij, in cui la protagonista rimprovera al giovane innamorato che il suo amore “è grande ma non gioioso” e quindi gli vieta di scriverle d’amore. È un omaggio, un’ispirazione, un punto di partenza?
«Libri come quello di Sklovskij sono un’inspirazione che segue un’espirazione, un ciclo di respirazione completo necessario quando succede di incontrare libri così, che alla sola di idea di partenza ti fanno perdere fiato: parlare d’amore senza nominarlo mai. Vuole mettere una qualunque dichiarazione d’amore rispetto a una che ti parla di mensole da bagno, guanti di pelle, sudore di Elvis, muscoli, cicale pistacchi e lavandini?»

C’è qualcosa di peggio di un amore non corrisposto?
«Un amore non corrisposto non è necessariamente una tragedia. Ci sono persone che ci rimangono secche e altre come Edoardo – il protagonista del romanzo – che se corrisposte, non so quanto sarebbero felici. Quella che ad alcuni può sembrare una tragedia, per altri è vita: l’autore ad esempio non avrebbe scritto nessun libro; il lettore avrebbe letto un altro romanzo; questa intervista non sarebbe esistita. C’è poco da fare, l’amore non corrisposto è un ciclo di vita necessario a tutti».

Il libro è scritto con uno stile così surreale e lieve, che sembra un moderno parente del surrealismo da Queneau al Vian de La schiuma dei giorni: si ritrova in questa percezione? C’è una precisa scelta stilistica dietro o ha più a che vedere con il suo modo di essere?
«È un modo carino per chiedermi “ci sei o ci fai”? A parte quelle grammaticali penso non ci siano regole nella scrittura, ma se devo sceglierne una scelgo “scrivi ciò che sai”. Ho scritto quello che sapevo, nel modo in cui sono. Quindi per tornare alla sua domanda, quella reale, direi che ci sono. Per esserci come ci sono io, scrivo da tanti anni e leggo da più del doppio. Non ho scelto volontariamente nessuno stile se non quello della pratica della lettura, della scrittura, e della vita che il tempo ci fa passare sopra».

Chi è il suo lettore ideale? E per conquistare quello non ideale, cosa lei direbbe circa il suo romanzo?
«Se posso essere sincero penso che il mio lettore ideale coincida con quello non ideale, e sia quello che legge il “Corriere Nazionale”».

 «Prendete la vita e scrivetela»
Camilla Cannarsa, «librisulibri.it» 30 Marzo 2010

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100 lettere d’amore semiserie inviate a una ragazza (quasi) sconosciuta, a un ideale, un’immagine, il tutto dovendo evitare di parlar d’amore.
L’esordio narrativo di Massimo Vitali è senza dubbio originale; giocato sul filo dell’autoironia e del disincanto, si presta a un’altrettanto disincantata e leggera lettura.
Il protagonista del singolare epistolario, Edoardo, parla a se stesso più che alla donna che ha conosciuto durante un corso in piscina al quale si è iscritto senza saper nuotare: è proprio in quest’occasione infatti che si materializza in lui la passione per la donna che gli ha salvato la vita (Edoardo rischia di annegare alla prima lezione e viene ripescato proprio da Teresa). Da quel momento comincia a scriverle, sperando in un incontro, lettere a mezzo raccomandata, finché lei, stanca della corrispondenza, gli intima di desistere, o se proprio questo non è possibile, di continuare a scriverle, ma via posta ordinaria e senza mai parlar d’amore.
Edoardo narra d’ogni piccola cosa, la più futile delle riflessioni è motivo valido per discutere tesi senz’assunto, dissertare attorno a curiose notizie d’attualità, porre interrogativi pretestuosi ma è il tutto volto a ricondurre l’attenzione di Teresa a quell’inevitabile richiesta d’attenzione, alla (volutamente) malcelata voglia di comprensione.
La scrittura di Vitali è veloce e semplice, carica di un nonsense divertito e a tratti pungente. La chiave di lettura, anche se in questa occasione sia forzato racchiudere l’analisi della raccolta epistolare entro confini troppo definiti, sta tutta nell’ultimo, disperato e speranzoso tentativo d’avvicinamento e nella disillusione, o presa di coscienza, a voi la scelta, che ne deriva: non si dovrebbe mai parlar d’amore, che l’amore non è cosa di cui si possa disquisire.
Romagnolo d’origine, come il suo collega Gianluca Morozzi (edito sempre da Fernandel), Massimo Vitali con il suo L’amore non si dice ci propone un romanzo leggero, d’evasione, che racchiude, però, passaggi d’intensità diversa, momenti che lasciano trasparire una materia di diversa natura, forse più autentica, sui quali ci piacerebbe l’autore si soffermasse con maggiore fermezza.

«Quelli che hanno l’abitudine di fare ordine nella libreria organizzandola per “genere letterario” con questo libro avranno vita dura»
Daniele Borghi «Slowcult.it» 25 giugno 2010

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Quelli che hanno l’abitudine di fare ordine nella libreria organizzandola per “genere letterario” con questo libro avranno vita dura. Non starò a riassumere il contenuto di questo libro, per quello c’è la quarta di copertina, e ai tempi di Internet è facile leggerla anche senza andare in libreria, ciò che vorrei raccontare è come questo testo è scritto. La cosa che più mi ha colpito di questo testo è l’originalità della scrittura (non di struttura, chi ha letto “Zoo o lettere non d’amore” di Skloskij noterà somiglianze). Immaginando di dover leggere 100 lettere scritte da un innamorato alla sua amata silente verrebbe da suicidarsi dalla noia e invece, nel libro di Vitali, non c’è nulla di noioso. Ogni lettera è lucida e strampalata, acuta e ingenua, leggera e profonda, in una alternanza di registri che mai si percepisce artefatta. Il vincolo di non dover mai parlare d’amore diventa un prezioso pretesto per parlar d’altro, di tutto, un tappeto elastico su cui fare acrobazie e affrontare i temi più distanti e apparentemente lontani dall’amore quanto un politico dall’onestà intellettuale. E il tappeto elastico non è un paragone a caso, è l’unico gioco-attrezzo-sport, che fa dell’apparente leggerezza di chi salta la sua attrattiva principale. Esattamente come nella scrittura di Massimo Vitali.

«Un passo fuori dagli schemi e i generi tradizionali della letteratura. Un esordio decisamente brillante e che fa ben sperare»
Fabio Sbaraglia «Drivemagazine.net» settembre 2010

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 L’aggettivo adatto a descrivere questo romanzo è semplicemente “bello”. Bello e basta. Bello senza mai prendersi troppo sul serio, senza chiedere troppo a se stesso e senza nessuna pretesa se non quella di farci emozionare un po’: ci riesce molto bene e scusate se è poco.
La trama: Edoardo ama Teresa e le scrive quotidianamente lettere d’amore e, per essere sicuro che lei le riceva, gliele scrive su raccomandata con ricevuta di ritorno. Ma Teresa non ama Edoardo, gli proibisce di continuare a scriverle raccomandate e tantomeno di scriverle d’amore. Edoardo allora la prende alla lettera e abbandona le raccomandate per passare alla posta ordinaria e soprattutto evita di scriverle d’amore. Le scriverà però di tutt’altro: del suo meccanico, del suo barbiere, dei ladri, di lavandini, di quello che fa e che pensa, le scriverà ricette di cucina e di tutto ciò che non sia amore. Tutti i giorni. Naturalmente Teresa non risponderà mai a nessuna delle sue cento lettere ma ciò nonostante in nessuna di queste mancherà mai, nascosto magari tra le righe finali, un qualche piccolo e tenero riferimento al suo (o loro?) amore.
Una storia semplice e mai banale, a tratti anzi quasi crudele, un libro fatto di cento lettere che girano tutte, sempre, intorno allo stesso argomento, ma che non risulta mai uguale a se stesso. Originalità e ingenuità sono gli ingredienti neanche troppo segreti di questo romanzo che si colloca giusto un passo fuori dagli schemi e i generi tradizionali della letteratura.
Un esordio decisamente brillante e che fa ben sperare per il bolognese Massimo Vitali, che nella stesura del suo libro ha potuto avvalersi di due collaboratori decisamente eccezionali: Alessandro Bergonzoni (che scrive a Teresa, e noi, una specie di brevissima lettera iniziale di “istruzioni per l’uso”) e Grazia Verasani (che invece scrive a Edoardo una commovente lettera finale).
“L’amore non si dice”: un libro semplice, spontaneo e caparbio. Come (dovrebbe essere) l’amore. Quello bello.

«L’esordio narrativo di Massimo Vitali è senza dubbio originale»
«libriconsigliati.it» maggio 2010

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100 lettere d’amore semiserie inviate a una ragazza (quasi) sconosciuta, a un ideale, un’immagine, il tutto dovendo evitare di parlar d’amore.
L’esordio narrativo di Massimo Vitali è senza dubbio originale; giocato sul filo dell’autoironia e del disincanto, si presta a un’altrettanto disincantata e leggera lettura.
Il protagonista del singolare epistolario, Edoardo, parla a se stesso più che alla donna che ha conosciuto durante un corso in piscina al quale si è iscritto senza saper nuotare: è proprio in quest’occasione infatti che si materializza in lui la passione per la donna che gli ha salvato la vita (Edoardo rischia di annegare alla prima lezione e viene ripescato proprio da Teresa). Da quel momento comincia a scriverle, sperando in un incontro, lettere a mezzo raccomandata, finché lei, stanca della corrispondenza, gli intima di desistere, o se proprio questo non è possibile, di continuare a scriverle, ma via posta ordinaria e senza mai parlar d’amore.
Edoardo narra d’ogni piccola cosa, la più futile delle riflessioni è motivo valido per discutere tesi senz’assunto, dissertare attorno a curiose notizie d’attualità, porre interrogativi pretestuosi ma è il tutto volto a ricondurre l’attenzione di Teresa a quell’inevitabile richiesta d’attenzione, alla (volutamente) malcelata voglia di comprensione.
La scrittura di Vitali è veloce e semplice, carica di un nonsense divertito e a tratti pungente. La chiave di lettura, anche se in questa occasione sia forzato racchiudere l’analisi della raccolta epistolare entro confini troppo definiti, sta tutta nell’ultimo, disperato e speranzoso tentativo d’avvicinamento e nella disillusione, o presa di coscienza, a voi la scelta, che ne deriva: non si dovrebbe mai parlar d’amore, che l’amore non è cosa di cui si possa disquisire.
Romagnolo d’origine, come il suo collega Gianluca Morozzi (edito sempre da Fernandel), Massimo Vitali con il suo Lamore non si dice ci propone un romanzo leggero, d’evasione, che racchiude, però, passaggi d’intensità diversa, momenti che lasciano trasparire una materia di diversa natura, forse più autentica, sui quali ci piacerebbe l’autore si soffermasse con maggiore fermezza.

«L’amore non si dice ma c’è, nel romanzo d’esordio di Massimo Vitali»
«InComune.eu» 12 luglio 2011 

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